Chi legge Il Fatto Quotidiano conosce Aya Ashour: ne conosce la scrittura, il coraggio, la capacità di raccontare la voglia di vivere, nonostante tutto (e il tutto è che da ottobre è imprigionata a Gaza con la sua famiglia e che ogni giorno rischia la vita. )
Proprio alcuni giorni fa ha raccontato di essersi trovata in mezzo a un fuoco incrociato di droni e carrarmati tra corpi che cadevano e proiettili ovunque.
È viva per miracolo.
Aya ha 23 anni e si è laureata in diritto internazionale; il titolo della tesi è " il ruolo delle donne nella Sicurezza nella pace secondo la risoluzione 1325 del consiglio di sicurezza: la Palestina come caso di studio".
Da quando ne aveva 17 si è impegnata a difendere i diritti umani, soprattutto quello dei bambini e delle donne, anche come educatrice in materia di diritto internazionale umanitario , di violenza di genere e diritti dei bambini e delle bambine.
Leggendo i messaggi di Aya su WhatsApp leggendo i suoi post su Instagram e gli articoli sul Fatto Quotidiano è impossibile non riflettere su una atroce banalità. Siamo vicinissime geograficamente ma ancora più esistenzialmente.
Ma Aya rischia di essere uccisa ogni giorno ed è prigioniera in una specie di campo di concentramento dal quale non può uscire e non per qualcosa che abbia fatto ma per quello che è .
Perché è nata palestinese; per il suo sangue, per la sua identità, per la sua razza qualcuno avrebbe detto, e ancora oggi direbbe ...
E noi tutte siamo impotenti come paralizzate .
Nonostante gli sforzi di chi più di noi si impegna scrivendo petizioni, organizzando flash mob, assemblee e in atti concreti come il boicottaggio delle aziende e organizzazioni che inviano armi ad Israele.. nonostante le numerose richieste di cessate il fuoco, i negoziati che sembrano sempre andare verso una soluzione positiva e non ci arrivano mai, la situazione rimane ferma appunto paralizzata come noi.
Eppure sarebbe così semplice pensare anche solo per un attimo di essere al posto di Aya ... potrebbe essere questa la chiave??
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