Pensiamo sia utile dare una sintesi degli accessi nel 2024 allo sportello antiviolenza Alzati Eva mentre, chi è interessato ad approfondire anche il relativo andamento storico può consultare il nostro sito www.casadonneivrea.com
Gli accessi e la successiva presa in carico per lo sviluppo delle situazioni, sono stati 52 con un picco il mese di gennaio. Donne di diversa condizione sociale provenienti da Ivrea città e per lo più da comuni del Canavese.
Italiane 35, straniere 17 con Stati di provenienza disparati perché la zona ha precedenti di buona accoglienza e integrazione. Inviate soprattutto dalle stazioni dei carabinieri e dal passa parola di amiche o conoscenti.
Le fasce di età prevalenti sono 30-39 e 40-49. Queste ultime le più problematiche, perché hanno alle spalle anni di maltrattamenti psicologici e lesivi dell’autostima.
La presa in carico riguarda in genere richieste multiple che, secondo le situazioni possono coinvolgere prestazioni interne -Legale, Psicologa, Psicoterapeuta, Counselor-, o esterne -Servizi sociali, Forze dell’Ordine, CAF, Caritas, Sindacato
Nelle prevalenze si nota un certo equilibrio tra le relazioni di aiuto con psicologa, psicoterapeuta e counselor dilatate nel tempo, e tra consulenze legali che possono essere di carattere civile o penale.
Le richieste esterne che comprendono i Servizi sociali, le Forze Ordine e i CAF, sono da attribuire soprattutto alle donne straniere con forme di mediazione e accompagnamento.
La misura dell’insieme di attività che impegnano le volontarie dello sportello sono più evidenti dalle successive infografiche



Ogni anno inoltre, dalle analisi del nostro periodico gruppo di autoformazione, si osservano sempre casistiche prevalenti. Nel 2024, ad esempio il bisogno di una casa, e la soluzione non si presenta mai semplice, come nei casi di Francesca e Fatima.
Francesca, si è trovava in canavese ospite di una comunità di recupero con la retta sostenuta dalla Asl di un’altra provincia. Si è rivolta a noi perché è stata allontanata con il preavviso di tre giorni. La causa poteva essere nei pagamenti interrotti da parte della Asl, oppure nella sua trasgressione delle regole interne. .
Senza residenza -al paese non voleva tornare per motivi personali- non era possibile ricorrere ai servizi sociali e, senza lavoro non trovava casa per poter chiedere la residenza.
Un vicolo cieco, percorso con un susseguirsi di segnalazioni a altre associazioni, con segmenti di aiuto come accoglienze temporanee, lavori parziali sino che è intervenuta la Caritas ad assicurare un alloggio, come per Fatima.
Fatima con le due figlie adolescenti, si era trasferita a Ivrea per sfuggire a un marito violento e, pur avendo la possibilità economica per pagare un affitto, incontrava solo rifiuti per non avere un contratto a tempo indeterminato e come straniera.
I buoni rapporti appunto con la Caritas, hanno risolto il problema.
La rottura di una convivenza per violenza domestica abbraccia sempre problemi diversi tra loro ed evidenzia come la catena abbandono-denuncia-codice rosso-provvedimenti restrittivi abbia anelli deboli e troppo differiti per poter supplire ai bisogni contingenti di una normalità di vita.
Noi ci siamo, spesso con noi la rete di servizi e associazioni del territorio oppure persone disponibili a dare una mano, ma le soluzioni sono spesso parziali. Il problema vero sarebbe una politica integrata di adeguati interventi legislativi e di più ampie disponibilità del welfare pubblico e privato, all’interno di un disegno inclusivo per la donna, i figli minori, la casa e il lavoro. Una rete di protezione completa e predisposta, invece dei ripieghi lacunosi in cui noi e altre associazioni siamo costrette.
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